Rimase immobile, calma.
Poi, il direttore dell’azienda entrò.
I suoi occhi scrutarono la folla — e si posarono su di lei.
Il silenzio che seguì disse più di mille parole.
Per anni, Lena aveva vissuto nell’ombra di suo marito Greg, come un fiore selvatico delicato soffocato da un’erbaccia velenosa.
Si era abituata alle sue osservazioni pungenti, a quel tono condiscendente con cui criticava ogni suo sforzo.
La sua passione per il cucito era il bersaglio preferito dei suoi sarcasmi.

«Stai ancora giocando con i tuoi stracci?» diceva, lanciando un’occhiata agli splendidi abiti che lei confezionava con tanto amore e cura.
«Sembri una contadina in un vestito fatto in casa, non una donna moderna.
Perché non puoi comprare qualcosa di normale, di marca, come fanno tutti?»
Greg era un dirigente intermedio in una rispettabile azienda e traeva grande orgoglio dalla sua posizione modesta.
Venerava i marchi e i loghi appariscenti, considerandoli simboli supremi di successo.
Lena, invece, amava ciò che lui non riusciva a capire: la qualità artigianale, l’anima di una creazione unica.
Per lei, i vestiti dei negozi sembravano privi di vita, prodotti in serie, senza individualità.
Greg non mancava mai a una serata aziendale, che considerava l’occasione perfetta per farsi benvolere dai superiori.
Portava raramente Lena con sé.
«Che ci faresti lì?» diceva.
«Ti annoieresti e mi metteresti in imbarazzo.»
Lei non insisteva mai.
L’atmosfera di sorrisi forzati e conversazioni vuote soffocava tanto lei quanto lui.
Ma quell’anno era diverso.
Era l’anniversario dell’azienda, un grande evento organizzato in un ristorante chic, e la presenza di tutti i dipendenti e dei loro coniugi era obbligatoria.
Lena sospirò.
Il solito mal di testa su cosa indossare cominciò a farsi sentire.
Comprare un abito nuovo sarebbe costato una piccola fortuna che preferiva spendere in tessuti di qualità, e nei negozi non trovava nulla che le parlasse davvero.
La soluzione, come sempre, era tra le sue mani.
Avrebbe cucito lei stessa il suo abito.
Per diverse notti, dopo la giornata di lavoro e tutte le faccende domestiche, Lena si rifugiava nella sua piccola stanza adibita a laboratorio improvvisato.
Il ronzio della macchina da cucire era il canto di un’amica fedele.
Il tessuto, una seta smeraldo profonda e lucente, scivolava docile sotto l’ago, trasformandosi in linee eleganti e armoniose.
Metteva la sua anima in ogni punto, i suoi sogni di bellezza e armonia prendevano vita davanti ai suoi occhi.
Greg, rientrando tardi, brontolava vedendo la luce ancora accesa nella stanza.
«Stai ancora smanettando con quelle cose? Potevi preparare la cena.»
Lena continuava semplicemente a lavorare, il rumore della macchina copriva i suoi commenti.
Quando l’abito fu finito, lo appese sul manichino e fece un passo indietro, il cuore gonfio di un orgoglio silenzioso.
Non era solo un vestito. Era un capolavoro.
La seta fluida, la silhouette elegante che abbracciava il corpo, il ricamo delicato fatto a mano che brillava come una costellazione.
L’abito era lei — la sua tenerezza, il suo talento, la sua bellezza nascosta e vibrante.
Greg, passando davanti alla stanza, si fermò di colpo.
Il vestito era indubbiamente magnifico.
Perfino lui, che non distingueva l’alta moda da un sacco di patate, poteva vederlo.
Ma invece di un complimento, la sua insicurezza si trasformò in derisione.
«E con quello dove pensi di andare?» rise.
«Alla festa di paese? Toglilo subito.
Non intendo farmi ridicolizzare davanti ai miei colleghi.»
Le sue parole la colpirono come uno schiaffo familiare e doloroso.
Per un attimo pensò di cedere, di restare a casa per evitare l’umiliazione.
Ma guardando l’abito, riflesso della sua anima, una nuova determinazione si accese in lei.
Il giorno della festa, Lena si mise davanti allo specchio.
L’abito le calzava a pennello, la seta smeraldo faceva brillare i suoi occhi.
Si truccò leggermente, lasciò i capelli sciolti in onde morbide e sentì riaffiorare una fiducia dimenticata.
Non era solo la moglie di Greg.
Era una creatrice.
Mentre si preparava, Greg sbatté la porta uscendo per andare al lavoro, lanciandole un ultimo sguardo sprezzante.
«Va bene, fai come vuoi.
Te ne pentirai,» borbottò.
Sola, nel silenzio dell’appartamento, le lacrime le salirono agli occhi, ma le ricacciò indietro.
Non gli avrebbe permesso di rovinare quel momento.
Avrebbe indossato il suo abito.
E sarebbe andata a quella festa.
